San Leone Magno – sermone nel giorno natalizio
1.1. La grandezza dell’opera di Dio, carissimi, supera e sopravanza di molto la capacità della parola umana: e difficoltà di parlarne nasce dallo stesso motivo c’impone di non tacere, perché in Gesu Cristo Figlio di Dio non si riferisce alla sola essenza divina, ma anche alla natura umana quel che dice il Profeta: « Chi potrà raccontare la sua nascita?» (Is 53, 8). Che due nature si siano congiunte in una sola persona, se la fede non lo professa, la parola non può certo spiegarlo, e perciò non verrà mai a mancare materia di lode, perché mai potrà bastare la fecondia dell’oratore. 2. Rallegriamoci dunque per la nostra inadeguatezza a parlare del mistero di una misericordia così grande, e mentre ci sentiamo incapaci di esprimere la sublimità della nostra salvezza, avvertiamo che per noi è un bene essere sopraffatti da tanta grandezza. Nessuna, in realtà, arriva così vicino alla conoscenza della verità quanto chi comprende che nelle cose di Dio, sebbene riesca a fare grandi progressi, gli resta sempre qualcosa da ricercare. 3. Perché chi ha la pretesa di aver raggiunto la meta cui aspirava, non è che ha trovato quel che cercava, ma ha fallito nella sua ricerca. Tuttavia, perché non ci lasciamo turbare dalle difficoltà dovute alla nostra debolezza, ci soccorrono le parole del Vangelo e dei profeti: esse infiammoano il nostro spirito e ci insegnano a sentire che la nascita del Signore, nella quale «il Verbo si è fatto carne» (Io1, 14), non tanto la celebriamo come un avvenimento passato quanto piuttosto la intuiamo farsi presente. 4. Infatti l’annunzio dato dall’angelo del Signore ai pastori che vegliavano a custodia dei loro greggi ha riempito anche le nostre orecchie; e noi siamo alla guida del gregge del Signore proprio perché conserviamo con gli orecchi del cuore le parole divinamente pronunziate, come se ci venisse ancora proclamato nella solennità odierna: « Vi do l’annunzio di una grande gioia, che sarà per tutto il popolo: oggi, nella città di David, è nato per voi il Salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2, 10). 5. Alla sublimità di questo annunzio òi aggiunge l’asultanza di innumerevoli angeli ‘ perché più solenne divenisse la testimonianza resa dal canto unanime della milizia celeste – che benedicevano Dio ad una sola voce dicendo in suo onore: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2, 14). 6. La gloria di Dio è dunque l’infanzia di Cristo che nasce dalla Vergine madre, e la redenzione del genere umano viene giustamente diretta a lode del suo autore, perché anche alla beata Maria l’angelo mandato da Dio aveva detto: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra, perciò l’essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). 7. Alla terra viene donata quella pace che genera gli uomini di buona volontà. Perché lo Spirito per opera del quale nasce Cristo dal grembo della madre illibata, è lo stesso per il quale dal grembo della santa Chiesa rinasce il cristiano, la cui vera la pace è di non staccarsi dalla volontà di Dio e trovare la sua gioia soltanto in ciò che Dio ama.
2.1 Nel celebrare dunque, carissimi, il giorno del Natale del Signore, scelto fra tutti i giorni dei tempi passati, sebbene la disposizione dei fatti corporali, così come era stata prestabilita nell’eterno disegno, sia cosa passata, e l’umiltà del Redentore sia stata interamente elevata alla gloria della maestà del Padre, «perché nel nome di Gesù ogni ginoncchio si pieghi in cielo, sulla terra e negli inferi, e ogni lingua professi che Gesù è nella gloria di Dio Padre» (Phil 2, 10-11), tuttavia noi non cessiamo mai di adorare lo stesso parto della Vergine fonte della salvezza, e quella indissolubile unione del Verbo e della carne la riconosciamo giacente così nel presepio non meno che assisa sul trono sublime col Padre. 2. Certo, l’immutabile Divinità, sebbene racchiudesse in se stessa il suo splendore come anche la sua potenza, non era tuttavia disgiunta dal neonato per il fatto che non appariva allo sguardo umano; così attraverso gli straordinari inizi di colui che era vero uomo òi poteva riconoscere che era nato il Signore e insieme il figlio del re Davi (Mt 22, 44). 3. Lo stesso David profeticamente inspirato proclama: «Disse il Signore al mio Signore: “Siedi alla mia destra”» (Ps. 109, 1). Con questa testimonianza, come riferisce il Vangelo, fu confutata l’empietà degli Giudei. Quando infatti a Gesù che li interrogava di chi secondo loro era figlio il Cristo, i Giudei risposero: “di Davi”, subito il Signore accusandoli di cecità disse: «in che modo dunque sotto ispirazione lo chiama Signore, dicendo: “Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra?”» (Mt 22,44). 4. Vi siete sbarrati la via all’inteligenza, o Giudei, e guardando soltanto alla natura carnale, vi siete completamente chiusi alla luce della verità. Perché, fissati come siete nelle vostre favolose invenzioni, state aspetando il figlio di David della sola sua stirpe corporale, e dal momento che avete riposto la vostra speranza soltanto nell’uomo, avete respinto il Figlio di Dio che è Dio, sicché quel che nella nostra professione di fede è per noi motivo di gloria non può arrecare a voi alcuna utilità. 5. In realtà, quando anche a noi viene chiesto di chi sia Figlio il Cristo, con le parole dell’Apostolo professiamo che «è nato dalla stirpe di David secondo la crane » (Rom 1, 3); e all’inizio stesso dell’annunzio evangelico siamo istruiti con queste parole: «Libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di David» (Mt 1, 1). Ma ci distacchiamo dalla vostra empietà nel senso che quell’uomo stesso che noi sappiamo nato dalla stirpe di David, noi lo crediamo Dio coeterno a Dio Padre, secondo la parola del Vangelo: «Il Vervo si è fatto carne» (Io 1, 14). 6. Perciò, o Israele, se tu fossi coerente alla dignità del tuo nome, e rilegessi i messagi profetici con cuore illuminato, Isaia ti svelerebbe la verità evangelica e non saresti sordo nell’ascoltarlo quando divinamente ispirato dice: «Ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio, e il suo nome sarà Emanuele, che significa “Dio con noi”» (Mt 1, 23; Is 7, 14). 7. E se tu non lo riconoscevi nel significato così specifico del nome sacro, avresti dovuto imparare almeno dalle parole di David a non negare, contro la testimonianza del nuovo e dell’antico Testamento, come figlio di David quel Cristo che non riconoschi come Signore di David.
3.1. E così carissimi, la Chiesa dei popoli fedeli per l’ineffabile grazia di Dio ha conseguito ciò che la Sinagoga dei Giudei carnali non meritò di avere, come dice David: «Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, ha rivelato la sua giustizia agli occhi dei popoli» (Ps 97,2); e secondo la profezia di Isaia: « Il popolo che sedeva nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano un paese avolto dall’ombra della morte è sorta una luce» (Mt 4, 16; Is 9, 2); e ancora: «Nazioni che non ti conoscevano ti invocheranno, e popoli che non ti conoscono si rivolgeranno a te» (Is 55,5). Per questo esultiamo nel giorno della nostra salvezza; ed elevati per l’alleanza del nuovo Testamento ad essere in comunione con Lui, al quale il Padre dice per bocca del Profeta: «Tu sei il mio Figlio, oggi io ti ho generato; 2. Chiedimi, e io ti darò in eredità le nazioni e in tuo dominio i confini della terra» (Ps 2, 7-8), gloriamoci nella misericordia del nostro Padre adottivo, perché, come dice l’Apostolo: « Non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nel timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione a figli, che ci fa gridare: “Abba, Padre”» (Rom 8,15). È allora degno e conveniente che i figli adottivi compiano la volontà del Padre loro testatore, e siano compartecipi della debolezza del Cristo coloro che sono coeredi della gloria futura, secondo le parole dell’Apostolo: « Se con Lui soffriamo, CON Lui saremo glorificati» (Rom 8,17). 3. Si onori il Signore nella sua infanzia, né si ritengano oltraggiosi pe la Divinità gli inizi e la sua crescita corporale, perché la nostra natura non aggiunge né toglie nulla alla natura immutabile, ma Colui che si è degnato di rendersi conforme agli uomini in una carne simile aquella del peccato (Rom 8,3), nell’unità della divinità rimane uguale al Padre, e col Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen
(San Leone Magno, Sermone 9, I sermoni del ciclo Natalizio, a cura di Elio Montanari, Mario Naldini e Marco Pratesi, Edizione Dehoniane Bologna, 2007, p. 193-201)